Una (non proprio) breve storia della felicità – 1° parte

Nel maggio dello scorso anno Sarah van Gelder, co-fondatrice e capo editore di YES! Magazine scrisse un articolo molto interessante dal titolo Una breve storia della felicità: Come l’America ha perso le tracce della buona vita  e dove trovarla ora. L’articolo si riferisce agli Stati Uniti, ma la situazione italiana e del mondo occidentale non è differente. Quella che segue è la libera traduzione della prima parte dell’articolo. Le successive saranno pubblicate nei prossimi giorni.

Negli ultimi 100 anni si è tanto parlato di felicità, siamo bombardati di stimoli sulla felicità e su come raggiungerla. Il modo in cui definiamo la felicità guida quello che facciamo, quello che siamo disposti a sacrificare, e come spendiamo i nostri soldi e il nostro tempo.

Le case produttrici di quasi tutti prodotti spendono miliardi per diffondere l’illusione che più cose abbiamo più siamo felici. I politici di tutti gli orientamenti, e soprattutto quelli legati agli interessi economici, diffondono il messaggio che la crescita economica porta al benessere. Entrambi sono false promesse che stanno invece minando le condizioni stesse che potrebbero portare alla felicità sostenibile.

Si! Felicità sostenibile.

La felicità sostenibile è basata su un mondo sano e naturale e su una società vivace e leale. Si tratta di una forma di felicità che dura, nei momenti buoni e cattivi, perché comincia con i requisiti e le aspirazioni fondamentali  dell’essere umano. Non è possibile ottenerla in modo rapido né può essere raggiunta a scapito degli altri.

La buona notizia è che la felicità sostenibile è realizzabile, potrebbe essere a disposizione di tutti, e non deve andare a discapito il pianeta. Inizia facendo in modo che tutti possano ottenere un livello base di sicurezza materiale. E oltre a questo è fondamentale saper che possedere più cose non è la chiave della felicità.

Si scopre che non abbiamo bisogno di sfruttare e depauperare il pianeta in una folle corsa per produrre le cose che dovrebbe renderci felici. Non abbiamo bisogno di persone che lavorano in condizioni di sfruttamento per produrre roba a buon mercato per alimentare una fame infinita di possesso. Non abbiamo nemmeno bisogno di crescita economica, anche se alcuni tipi di crescita sono di aiuto.

La ricerca mostra che la felicità sostenibile proviene da altre fonti. Abbiamo bisogno di rapporti d’amore, comunità naturali e umane fiorenti, opportunità di lavoro significative e un paio di semplici pratiche come la gratitudine, per esempio. Con questa definizione di felicità sostenibile, possiamo davvero averla tutti.

Una breve storia della felicità in stile americano

Il consumo non è sempre stato il re degli Stati Uniti. E’ iniziata a diventare una preoccupazione nazionale nel 1920, quando gli imprenditori hanno iniziato a preoccuparsi che gli americani erano sazi perché avevano tutti gli elettrodomestici e beni di consumo che volevano. Dirigenti e politici pro-business hanno pensato allora che l’economia avrebbe subito uno stallo se le persone avessero scelto di trascorrere il tempo a godersi la vita piuttosto che lavorare di più e comprare di più.

Così l’industria della pubblicità ha unito le forze con gli psicologi freudiani per incanalare i nostri desideri, unendo i desideri universali di amore, status e autostima con il nuovo “Vangelo del consumismo”.

“I desideri sono quasi insaziabili,” sosteneva l presidente Herbert Hoover  nella sua relazione sull’economia pubblicata pochi mesi prima del crollo del 1929. “Un desiderio soddisfatto apre  la strada ad un altro da soddisfare …. Abbiamo un’area sconfinata davanti a noi; ci sono nuovi bisogni che produrranno all’infinito bisogni sempre più nuovi, in modo sempre più veloce alla loro soddisfazione … attraverso la pubblicità e altri dispositivi di promozione, con il supporto scientifico, con un’accurata previsione di  consumo, è stato creato un traino di produzione controllabile … sembrerebbe che possiamo andare avanti incrementando le attività.

La moderna industria pubblicitaria si propone sistematicamente di ridefinire le nostre credenze sulla felicità. Lo psicoanalista freudiano Ernest Dichter è uno di quelli che ha unito le forze con l’industria della pubblicità ha detto: ”In una certa misura, i bisogni e i desideri delle persone devono essere continuamente suscitati.”

La loro strategia funziona. Oggi un iPad, la giusta vacanza o le ultime scarpe da ginnastica sono diventati prerequisiti per ottenere rispetto e stima. Alcune marche di birra sono sinonimo di amicizia e di senso di comunità. Una casa di grandi dimensioni indica lo stato e la prova dei vostri guadagni e la capacità di sostenere una famiglia. Questi sono tutti, ovviamente, idee create dagli inserzionisti i cui profitti aumentano quando compriamo più di quello di cui abbiamo bisogno.

Gli inserzionisti spendono miliardi per diffondere l’illusione che più cose abbiamo più questo ci porterà felicità.

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