L’angelo dell’incombenza

Ognuno di noi ha il proprio “angelo del focolare” dentro. Anche più di uno.
Ma è uno quello più fetente.

Il mio è simile all’angelo del focolare della Woolf per certi aspetti. Lo chiamerei “l’angelo dell’incombenza”

Per tanto tempo ha agito (notare il tempo imperfetto) indisturbato, non lo vedevo proprio, si impossessava del mio essere e agiva senza problemi.
La sua massima alchimia consisteva nel trasformare qualsiasi azione in un’incombenza cioè in un “compito affidato o ricevuto nell’ambito di rapporti fondati sul SENSO DEL DOVERE”, togliendo leggerezza e, soprattutto, piacere anche alla più piacevole delle attività.

Tempo fa questo meccanismo ha iniziato a starmi un po’ stretto e ho iniziato a pormi delle domande, ad osservarmi.

E sai cosa? L’ho tanato il mio angelo dell’incombenza.
L’ho visto agire, ho riconosciuto la sua voce a volte subdola e suadente.
Quando diventava imperiosa … volavano altro che calamai!
Abbiamo lottato a lungo, ma non è stata la lotta a togliergli potere. Anzi! A volte avevo la sensazione che più lottavo contro di lui più diventava incalzante.

Quando sopportare quello che accade è più faticoso di cambiare finalmente ci incamminiamo per strade nuove.

E allora ho smesso di lottare e ho iniziato a parlare con il mio angelo dell’incombenza: chi sei? cosa vieni a fare nella mia vita? cosa vuoi farmi vedere che non vedo? qual è il tuo vero compito?

Si, perché, per quanto possa sembrare assurdo e dissonante, ognuno dei nostri “angeli” è lì per noi, per farci evolvere, per farci trovate e perseguire la nostra strada, per insegnarci qualcosa.

Vedendolo, accettandolo, dialogando con lui, ho scoperto che in realtà era lì per mostrarmi esattamente l’opposto.

Il suo compito era ed è, perché abbiamo ancora un po’ da fare, farmi scoprire il Piacere, dare la priorità al piacere nelle scelte della mia vita, trovare il piacere in ogni cosa.

In questo momento mi sta sussurrando “prima il dovere e poi il piacere”, riecheggiando ciò che mi e ci è stato detto fin dall’infanzia da genitori, insegnanti, sacerdoti …

Lo so, gli rispondo, grazie! Non è più quella la mia strada, non la voglio più percorrere.

Ho la sensazione che stia sorridendo sotto i baffi.
Eh si, il mio angelo dell’incombenza non è etereo, biondo con gli occhi chiari.
È moro, con gli occhi scuri e i baffi. Altrimenti come farebbe a riderci sotto?

Forse starai chiedendoti quale perversa mente abbia congegnato questo meccanismo per cui per arrivare al piacere occorre passare sotto le forche caudine del dovere, appesantendo e intristendo la vita?

Ti rispondo con un’altra domanda: come fai a sapere cos’è la libertà se non sei mai stato in prigione?

L’angelo dell’incombenza mi sta facendo l’occhiolino.
Fosse che sta per finire il suo compito?

E tu? Qual è il tuo angelo? Come si chiama?

Un piccolo passo verso la Gioia di Essere

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