Una (non proprio) breve storia della felicità – 3° parte

Puoi leggere qui la prima e la seconda parte di questa storia della felicità che nasce negli Stati Uniti e che si è diffusa in tutto il pianeta.

Il predominio di questa economia al profitto sta minando la nostra qualità della vita.

Per cavarsela in un’epoca di salari stagnanti e di indifferenza del governo, gli americani devono lavorare più a lungo e più ore. Quelli in fondo alla scala dei redditi, in particolare i genitori single, spesso lavorano in due o tre posti di lavoro per avere denaro a sufficienza per tirare avanti, e molti vivono in povertà, anche lavorando a tempo pieno. Con lunghe ore di lavoro (più lunghi spostamenti), chi ha tempo per essere felice?

Questa forma di società di consumi guidata dalle corporates aumenta la disuguaglianza e mina la vita familiare, e sta inghiottendo le risorse naturali del nostro pianeta. Cime di montagne saltate, foreste convertite in sabbie bituminose, miniere a cielo aperto, e terreni agricoli convertiti in siti di trivellazione e centri commerciali. Il pianeta ha dei limiti, una realtà trascurata da coloro che predicano la crescita economica senza fine. Ora abbiamo prodotti chimici industriali nella nostra acqua, l’acidificazione degli oceani, la morte di colonie di api, lo scioglimento dei ghiacci polari, uragani estremi e tempeste di fuoco.

C’è un detto: “Se la mamma non è felice, nessuno è felice”. Madre Terra non è felice.

Molte persone sono preoccupate per questi problemi, naturalmente. Ma la gente comune non ha le risorse per ottenere l’attenzione dei funzionari eletti, che devono raccogliere milioni di dollari per fare le loro campagne nazionali. Un recente studio Perspectives in Politics condotto da due eminenti accademici, la cui pubblicazione era prevista nell’autunno 2014, conferma che gli Stati Uniti sono diventati un’oligarchia.

Lo studio ha trovato che le opinioni della gente comune e dei loro gruppi di difesa non hanno praticamente alcun effetto sulla politica. Eppure le élite economiche e le organizzazioni che rappresentano gli interessi commerciali hanno “un impatto sostanziali” sulla politica del governo.

Questo descrive come la disuguaglianza mina la felicità sostenibile. La promessa che più roba porta felicità si rivela essere una falsa promessa. Allo stesso modo è falsa l’affermazione che la crescente ondata di crescita economica “salverà tutte le barche”.

Se la crescita economica e il consumismo non sono una ricetta per la felicità sostenibile, allora come possiamo ottenerla?

La felicità sostenibile è una forma di benessere che va in profondità, non è una sensazione fugace di piacere o una botta temporanea di ego. E’ invece duratura perché attinge alle nostre aspirazioni più autentiche e coinvolge le relazioni e le pratiche che ci sostengono nella buona e nella cattiva sorte.

La felicità sostenibile è basata su una comunità solidale. Essa nasce dalla consapevolezza che il nostro benessere è legato a quello dei nostri vicini. Quando sappiamo che possiamo contare sugli altri in tempi difficili, che c’è un posto per tutti, e che siamo in grado di dare un contributo significativo ed essere riconosciuti per questo, abbiamo le basi della felicità sostenibile.

E la felicità sostenibile nasce da una Terra sana e viva. A un livello molto semplice, si tratta di riconoscere che ogni sorso d’acqua, ogni boccata d’aria, il cibo che nasce dal suolo o proviene dalle acque, tutto questo è possibile grazie agli ecosistemi viventi del pianeta. Felicità sostenibile va ancora più in profondità, però, rispetto ad una celebrazione del mondo naturale, anche quando questo non ci offre un beneficio diretto.

Continua qui

Un piccolo passo verso la Gioia di Essere.

, ,
Articolo precedente
Una (non proprio) breve storia della felicità – 2° parte
Articolo successivo
Una (non proprio) breve storia della felicità – 4° parte
Menu