C’erano una volta i popoli della terra *

Prospettiva G

I popoli nativi dell’America raccontano una storia del nostro passato che suona piuttosto come un racconto di fantascienza riferito a un altro mondo. Narrano che molto tempo fa i popoli della Terra conducevano una vita molto diversa da quella di oggi. Un numero minore di persone utilizzava le risorse del pianeta. Non c’erano guerre in cui si facesse del male a vicenda o si distruggesse il territorio; inoltre, la gente viveva un rapporto di vicinanza con la Terra. Rendeva onore a se stessa, ai rapporti reciproci e agli elementi che le davano la vita. Durante quel periodo la gente era felice, sana e conduceva un’esistenza avanzata di secoli, che oggi si può solo immaginare.

Poi successe qualcosa. Sebbene gli anziani non sempre concordino su cosa esattamente sia accaduto, l’esito di ciascun racconto è lo stesso. I popoli cominciarono a dimenticare chi erano. Cominciarono a dimenticare il potere che costodivano in se stessi per guarire e per collaborare; e infine dimenticarono anche il loro rapporto con Madre Terra. Divennero smarriti, paurosi e soli. 

Nella loro solitudine anelavano a una connessione più profonda con il mondo. Cominciarono a costruire delle macchine all’esterno di sé che potessero riprodurre i poteri di cui fantasticavano. Costruirono macchine per migliorare i loro sensi della vista e dell’udito, ormai intorpiditi, e altre macchine ancora che potessero infondere la guarigione nei loro corpi, proprio come quest’ultimi un tempo sapevano generare la guarigione dal loro stesso interno.

Gli anziani dicono che quel racconto non è ancora finito e che facciamo parte dell’ultimo capitolo. Dicono che continuiamo a essere smarriti e paurosi e a sentirci soli; e finché non ci ricorderemo chi siamo, continueremo ad ingombrare la nostra vita di macchine che imitano i nostri più strabilianti poteri.”

Un piccolo passo verso la Gioia di Essere.

 

(*) da “Il potere della Resilienza” di Gregg Braden Macro – L’Arte di Essere – Trigono Edizioni 2018 pp. 299-300

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Foto di Nathaniel Tetteh su Unsplash

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