Otto anni fa ho sentito un forte richiamo a “saperne di più” e ad interrogarmi sulla Gioia: c’era gioia nella mia vita? Com’era? Quando la provavo? Potevo sperimentarne di più? C’era qualcosa che mi impediva di viverla come volevo? La gioia è diversa dalla felicità? Se si, in cosa? Quanto “costa” vivere una vita di gioia?

Da allora ricerco, curioso, indago e approfondisco l’argomento, da sola e in gruppo, attraverso gli incontri della Gioiastica utilizzando diversi strumenti: lo studio dei testi, il movimento, l’introspezione, la creatività, il gioco, la condivisione, la sperimentazione, l’indagine #Gioiaè.

In questa mia ricerca ho trovato molti spunti interessanti nel libro I doni dell’imperfezione di Brenè Brown, professoressa di Sociologia all’Università di Houston. La Brown ha dedicato tutta la sua carriera allo studio sul campo di temi quali la vulnerabilità, la vergogna, il coraggio e il merito. Il sottotitolo degli libro recita: “Abbandona chi credi di dover essere e abbraccia chi sei davvero”.

Il 4° capitolo è dedicato a “Coltivare la gratitudine e la gioia“. Per definire la gioia l’autrice prende in prestito le parole di Adela Rogers St. Johns, giornalista e scrittrice americana. E’ una definizione che sposo in pieno.

La gioia mi sembra un passo avanti rispetto alla felicità. La felicità è una specie di atmosfera in cui si può vivere, talvolta, quando si è fortunati. La gioia è una luce che ti riempie di speranza, fede e amore.

E’ estremamente interessante la ricerca dell’origine delle parole felicità e gioia fatta da Ann Robertson, pastore metodista, scrittrice e direttrice della Massachusetts Bible Society che la Brown riporta nel libro.

Il termine greco per felice è makarios, che veniva usato per descrivere la libertà dei ricchi dalle cure e dalle preoccupazioni comuni, o per indicare una persona che riceveva una qualche fortuna, come denaro o salute. La Robertson lo paragona al verbo greco chairo, gioire. Gli antichi greci definivano il chairo come “il culmine dellessere” e il “buonumore dellanima”. Scrive la Robertson:

Chairo, ci dicono i greci, è qualcosa che si trova solo in Dio, e si accompagna a virtù e saggezza. Non è una virtù da principianti: è un culmine. Dicono che il suo opposto non è la tristezza ma la paura.

Interessante questa affermazione. Vuol forse dire che per vivere una vita di Gioia c’è bisogno di coraggio?

Mi viene in mente il Libro degli amici dove l’autore, Hugo Von Hofmannsthal scrive : “La Gioia richiede più abbandono, più coraggio che non il dolore. Abbandonarsi alla Gioia significa appunto sfidare il buio, l’ignoto.”

Un piccolo passo verso la Gioia di Essere.

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Foto di Lubomirkin su Unsplash

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