Bisogna dire alle persone

Riporto qui per intero un post di qualche giorno fa su Facebook. È scritto da Sonia Serravalli, autrice di molti libri interessanti e de Il Bosco Femmina, che seguo da tempo su FB. Lo riporto per intero perché descrive in maniera molto chiara, potente e ispirante ciò che mi ha spinto e continua a ispirarmi nel proporre E se parlassimo della Morte.

Bisogna dire alle persone che il problema non è la morte: il problema è nutrire lo stare male di chi resta.
Bisogna dire alle persone che il dolore non è l’unica risposta al trapasso; che spesso il dolore è legato al come, e non realmente al che cosa.
Bisogna dire alle persone che ci sono maniere più umane e benefiche per tutti di affrontare questo passaggio… per il bene e la salute di chi resta, così come per il bene e l’equilibrio di chi ha lasciato il corpo.

Bisogna ormai che le persone comprendano, anche in Occidente, che la morte non è una nemica: la morte è quello strumento che ci permette di apprezzare le cose di questa vita.
È come la forza di gravità: solo nella sua prospettiva l’anima riesce a legarsi di qua, finché serve.
Se non ci fosse, saremmo esseri apatici distaccati da qualunque interesse e iniziativa… è solo che molti non lo sanno o non ci pensano mai.

Quella che chiamiamo “morte” non esiste nell’accezione greco-romana-ecclesiastica.
La cultura cristiana ha caricato la morte di un forte significato morale, presentandola come evento carico di angoscia, giudizio e minaccia eterna, instillando nella coscienza collettiva l’idea di una fine temibile, oscura e legata al castigo divino.
Ciò ha oscurato le visioni più neutre o cicliche del morire, del decesso come passaggio, trasformazione, liberazione sacra o addirittura come “promozione” al gradino successivo.

In molte culture orientali o animiste, la morte è molto meno temuta e più integrata nel ciclo naturale della vita. Anche in alcune culture indigene la morte è vista come trasformazione, non necessariamente tragica.
In Sud America permane una visione surreale e quasi festosa accanto all’umano dispiacere. Un approccio che trovo molto più naturale, che ricorda la visione maya dell’Inframondo come humus o fermento vitale, stadio di un continuo ciclo di ritorni, nulla di lontanamente cupo…

Bisogna che la gente sappia che, spesso, anche i nostri sentimenti sono pilotati, perché programmati a monte in un certo modo, senza aperture sugli altri modi possibili.

Bisogna che la gente sappia che il trapasso di qualcuno che amiamo (animale o persona) è come una grande Scuola. Che non bisognerebbe sprecarne neanche un giorno di lezione, non dimenticare neanche un’intuizione, non lasciare cadere neanche un’impressione.

Bisogna che la gente sappia che chiunque se ne va vuole sentire da qui solo amore. Possibilmente, gioia, calore, elevazione, UNIONE, sopra ogni cosa. Questo, solo questo può FARE BENE all’anima che sta affrontando il passaggio e alle persone care che restano qui. E, così facendo sì, restano in comunicazione.

Bisogna che la gente sappia che se si convive con la morte ad ogni contatto quotidiano coi nostri esseri cari, il lutto viene elaborato giorno per giorno, non DOPO che il trapasso è avvenuto.

Bisogna che la gente sappia che collaborare con chi se ne va non solo è possibile, ma è quello che dovremmo fare.

Bisogna che la gente sappia che se riesce a restare nella serenità e nell’apertura di cuore, la comunicazione tra i piani diventa una delle cose normali del mondo.

Bisogna che la gente sappia che se resta nell’amore, in quel senso di calore al cuore, la luce e l’energia passa molto più agevolmente tra i vari piani, e quello che oggi chiamiamo para-normale sarebbe allora finalmente quello che è: perfettamente, umanamente normale <3

Sonia Serravalli
Blog IL BOSCO FEMMINA

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